Una collega, in un suo intervento nei giorni scorsi, ha osservato come sia oscuro, tortuoso e contorto il linguaggio del decreto-legge in esame: è vero, esso è tortuoso, contorto e sibillino, come è sempre oggi il linguaggio del potere. Così si esprime chi non si propone di comunicare col prossimo, ma semplicemente piegarlo alla propria volontà. Come è lontano il linguaggio di questo decreto dalla gente, che passa per le strade, da tutto ciò che la gente desidera, spera, chiede! Persino la parola “pane”, nel contesto di un simile linguaggio, suona come qualcosa di astratto, qualcosa che non ha nulla a che spartire con il pane, che noi tutti i giorni comperiamo e mangiamo. Eppure, le leggi dovrebbero essere fatte dello stesso linguaggio che si adopera per parlare dell’acqua e del pane: ma, d’altronde, l’oscurità, la tortuosità del linguaggio l’incontriamo spesso oggi non soltanto nei decreti legge, ma anche nei romanzi e nei giornali. È sempre un linguaggio ricattatorio, intimidatorio, è il linguaggio che tacitamente dice al prossimo: “Se non mi capisci, è perché sei un imbecille”! E ancora tacitamente aggiunge: “Io sono più forte di te, sono in una sfera superiore alla tua, fra me e te corrono distanze incommensurabili. Io ho in mano il tuo destino e la tua vita, io sono tutto e tu non sei nulla”! È vero che, per quanto riguarda i romanzi, la poesia, il teatro è necessario ogni volta distinguere fra l’oscurità, che nasce da una ricerca ardua, da una reale complessità di pensiero, e l’oscurità che nasconde puramente e semplicemente il vuoto; comunque, per quanto riguarda i romanzi o la poesia o il teatro, il discorso è lungo e porterebbe lontano. Ma i giornali, i giornali dovrebbero essere chiari: la gente li compra e legge ogni giorno per sapere e capire cosa succede, e devono essere chiari. E il linguaggio dei politici dovrebbe essere chiaro, accessibile a tutti, immediatamente intelligibile, limpido come uno specchio perché la gente vi si possa specchiare! I decreti legge devono essere chiari. Fra le molte battaglie da combattere, una è certamente questa: la battaglia per un linguaggio chiaro, concreto, intelligibile a tutti, in rapporto diretto con le cose. Io credo che la vita del nostro paese diventerebbe migliore e più limpida se ognuno di noi si studiasse di vincere, almeno, intanto, l’oscurità del linguaggio, se si studiasse di indirizzarsi al prossimo con ogni parola, di non perdere mai di vista L’autrice dell’articolo, la scrittrice Natalia Ginzburg, sta tenendo un discorso alla Camera dei Deputati. la realtà del prossimo, di non irriderlo, non truffarlo, non umiliarlo, non calpestarlo mai. Ma, in verità, agli occhi del governo attuale, sembra che il prossimo non sia presente; sembra che non sia fatto di persone singole, ma sia invece una massa informe senza volontà e senza volto. Ad una simile massa informe, non serve indirizzare parole chiare, ma occorre invece avvilupparla in una caligine, in cui non sia più possibile scorgere né strade né direzioni precise. Disorientata, oppressa e stralunata, questa massa informe cadrà inerte, perdendo a poco a poco ogni facoltà di interrogare, di rispondere, di giudicare e di ricordare. Non avrà più né vincoli con il passato, né progetti per l’avvenire! In Italia, qualcosa di simile è già avvenuto in età non lontane e molti di noi ne conservano la memoria.
(N. Ginzburg, Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 7 aprile 1984)