ITALIANO 2° - Bimestre 1

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7th Grade

13 Qs

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ITALIANO 2° - Bimestre 1

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7th Grade

Hard

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Rita Montalcini

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13 questions

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1.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Nella frase “Io lo facevo, e lo facevo con diligenza” (riga 5) che cosa significa l’espressione “con diligenza”?

Con accuratezza

Con piacere

Con umiltà

Con tranquillità

2.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Perché il protagonista è dispiaciuto che la madre gli chieda di restare dal lato della strada?

Perché pensa che la madre si preoccupi in modo esagerato della sicurezza dei figli

Perché pensa che la madre non dovrebbe permettere ai figli di andare a scuola da soli

Perché pensa che la madre non protegga adeguatamente i suoi figli

Perché pensa che la madre preferisca che muoia lui al posto di suo fratello

3.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Che cosa significa l’espressione “mi mettevo una paura del diavolo” (riga 13)?

Avevo paura che il diavolo mi punisse

Avevo moltissima paura

Mi veniva paura per colpa del diavolo

Avevo un po’ di paura

4.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Qual è la principale preoccupazione del protagonista quando pensa alla possibilità che il fratello venga investito?

Che il fratello possa farsi male

Che il fratello possa morire

Che la madre possa picchiarlo per la disubbidienza

Che la madre lo costringa a stare due ore chiuso in camera

5.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: La frase “E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco” (riga 31) dimostra che il protagonista

prova gelosia nei confronti del fratello

trova fastidiosa la compagnia del fratello

è indifferente alla compagnia del fratello

apprezza la compagnia del fratello

6.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Il testo si intitola Dal lato della strada perché narra

il modo abituale del protagonista di camminare dal lato della strada

gli effetti che la richiesta della madre di stare dal lato della strada produce sul protagonista

i pensieri del protagonista mentre sta dall’altra parte della strada

una storia che si svolge per strada

7.

MULTIPLE CHOICE QUESTION

30 sec • 1 pt

Dal lato della strada


Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le

5 automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui».

La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ più di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a

10 quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, così le possibilità di essere investiti sono alla pari». Confesso che ho più volte avuto la tenta- zione di lasciare lui, dal lato della strada; ma mi mettevo una paura del diavolo, perché sono sicuro che se si fosse spiaccicato sotto un’auto, le avrei prese di brutto, perché

15 sarebbe stato evidente che avevo lasciato lui dalla parte più pericolosa, disubbidendo. A dire la verità, avevo già preparato una scusa: avrei detto con voce incredula che era stata colpa di un pazzo che con il motorino aveva tentato di passare rasente il muro e aveva colpito in pieno mio fratello; questa spiegazione non soltanto mi sembrava credibile, ma mi avrebbe pure consentito di fare a mia madre una lezione morale, del tipo «in

20 nessun luogo si può essere al sicuro quando il destino ha scelto, nemmeno dalla parte del muro».

Ora, che lui si spiaccicasse mi importava sì, ma fino a un certo punto, anche perché i miei precoci calcoli economici mi suggerivano che, rimanendo l’offerta di nutella alla stessa quantità e dimezzandosi la domanda con la dipartita di mio fratello, io avrei rice-

25 vuto chiari vantaggi, raddoppiando il fatturato. Ma anche le leggi economiche hanno il loro freno morale, e allora, nonostante il fatto che mentre pensavo queste cose con l’anca mi veniva da spingere leggermente mio fratello verso il centro della strada, poi la smettevo subito pensando al tradimento nei confronti di mia madre, alla punizione che avrei ricevuto facendo le dovute proporzioni. E cioè: se la pena per una parola sconcia

30 era di due sberle e due ore chiuso in camera, figuriamoci quella per l’assassinio di mio fratello. E poi non avrei avuto più chi mi passava la palla mentre giocavo giù nel parco. La verità però è un’altra: quello che mi premeva di più era non tradire mia madre; cre- devo molto in lei, nonostante preferisse che un parafango colpisse me piuttosto che mio fratello, e andavo a scuola come un eroe alla guerra pronto a sacrificarsi per la patria.

35 Non appena svoltavamo l’angolo e scendevamo dal marciapiede, passavo mio fratello da una mano all’altra e lo tenevo dalla parte del muro, mentre io, con la tristezza nel cuore, mi tenevo dal lato della strada, e ogni volta che passava un’auto o una motocicletta chiudevo gli occhi e aspettavo che il vento mi colpisse in pieno viso, e ogni volta poi tiravo un sospiro di sollievo. Certi giorni mi ponevo addirittura il dilemma se non fosse

40 una disubbidienza anche quella di arrivare sano e salvo a scuola, ma poi mi convincevo facilmente che esageravo, e mia madre aveva fatto solo una lista di preferenze, e non voleva proprio ammazzarmi.


Me ne rendevo conto in maniera chiara quando uscivo con lei e, rifacendo lo stesso per- corso, mi teneva al riparo dalla strada con il suo corpo: faceva con me quello che aveva

45 chiesto a me di fare con mio fratello. A quel punto rivalutai la mia posizione, pensando che se si sacrificava lei stessa, potevo farlo benissimo anch’io. Era un circolo: una volta protettore, una volta protetto. Però quello che non riuscivo a sopportare era che alla fine del circolo c’era mio fratello che non moriva mai perché non proteggeva nessuno, e all’inizio c’era, che so, mio nonno che rischiava la vita tutti i momenti, proteggendo tutti,

50 e finivo per credere che camminasse sempre al centro della strada anche quando stava solo, non foss’altro che per il sollievo di sentirsi sollevato dall’incarico qualora un’auto l’avesse sollevato da terra.

Quando poi mio nonno morì per davvero, nel suo letto e non perché gli fosse passata sopra una Ferrari Testarossa, che io poi pensavo si chiamasse così per le conseguenze

55 causate a quelli che investiva – anche se quando seppi del decesso chiesi a mia madre com’era avvenuto, sperando proprio che un’auto incurante delle leggi stradali avesse salito le scale e fosse penetrata fino a dentro la camera da letto colpendo in pieno mio nonno, così avrei potuto dire ancora una volta, col dito indice sollevato a rimprovero:

«quale migliore esempio per capire che in nessun luogo si è davvero al sicuro quando il

60 destino ha scelto, nemmeno nel proprio letto», e il destino per me aveva sempre la forma di un’auto impazzita nel centro storico; quando morì mio nonno, la situazione si fece più chiara perché mia nonna, non sua moglie, ma l’altra nonna che avevo, aveva detto il giorno dei funerali «e non era meglio che morivo io?», non per una scala di valori, s’in- tende, ma perché lei, diceva, aveva dieci anni di più, e sarebbe stato più giusto che fosse

65 morta lei. Ragionamento impeccabile, che faceva luce su tutta la questione della vita, della morte e sul fatto che io dovessi stare dalla parte della strada quando uscivo con mio fratello e dalla parte del muro quando uscivo con mia madre. Pensavo anche che, secon- do questa logica, prima che toccasse a me di stare sempre dal lato della strada, come era stato per mio nonno, mancava molto tempo, e allora mi sentivo rasserenato. [...]


Francesco Piccolo, Dal lato della strada, in Storie di primogeniti e figli unici, Einaudi, Torino 2012


DOMANDA: Ciò che accade in questo racconto è

inverosimile perché nessuna mamma permetterebbe a due figli così piccoli di andare a scuola da soli

verosimile perché accade spesso che le mamme chiedano ai figli maggiori di proteggere i fratelli minori

inverosimile perché nessuna madre preferirebbe la morte di un figlio piuttosto che un altro

verosimile perché spesso le mamme mandano a scuola i figli da soli

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