La tela di ragno
Nella città di Colofone (Colofone: una delle città fondate dagli antichi Greci sulle coste dell’Asia Minore) viveva Aracne, giovinetta di straordinaria bravura nel tessere le più belle stoffe del mondo; aveva mani agili e sottili che muoveva tra i fili di seta con tale disinvoltura e delicatezza da creare tessuti, veli, arazzi (arazzi: tessuti a figure, lavorati a mano, che si appendono ai muri come se fossero quadri) di ineguale bellezza. Ora accadde che la figlia del re doveva andare sposa e Aracne si era impegnata a tessere, per lei, una clamide (clamide: manto regale) tanto lunga quanto morbida e leggera; anzi, accusata dalle dame di corte di presunzione e vanità, Aracne aggiunse che il tessuto della clamide sarebbe stato tanto leggero da non superare il peso di due ali di colomba. Lavorò per un anno intero, giorno e notte, adoperando il filo del baco da seta quando esso era ancora contenuto nel bozzolo: lo srotolava con grande pazienza e con altrettanta maestria lo lavorava al telaio. Ne ricavò una clamide nuziale così lieve da essere contenuta entro il pugno di una mano. Immaginarsi lo stupore delle dame di corte quando Aracne, nel giorno stabilito, si presentò alla reggia con un tessuto di così leggera consistenza! L’invidia delle dame fu tale che spinse una di esse a prendere realmente la bilancia per confrontare il peso della clamide con quello di due ali di colomba; ma, meraviglia delle meraviglie, il piatto pendeva dalla parte delle ali. Si volle ancora una volta mettere in dubbio l’abilità della giovinetta e si disse che quel tessuto non era opera di un mortale: certamente Minerva, divina artigiana, era intervenuta nella tessitura del lavoro. A tale accusa Aracne diventò color porpora, si fece avanti e a gran voce esclamò: «Sfido qui, dinanzi a voi, Minerva stessa ad eseguire un’opera pari alla mia». La sfida provocò turbamento tra i presenti; sarebbe stata una gara singolare e quasi impossibile: nessun mortale aveva osato fino ad allora sfidare una dea. La sfida, infatti, sdegnò Minerva, nota per la sua fierezza e superbia. La dea, sotto le spoglie di una vecchietta, si presentò ad Aracne. Dopo un’animata discussione tra le due, si stabilì che di lì a tre lune (tre lune: circa tre mesi, dal momento che per luna gli antichi intendevano anche la durata del mese lunare, di circa 29 giorni) entrambe avrebbero presentato al palazzo del re un arazzo trapunto ad ago, raffigurante le gesta del dio del mare e del dio degli inferi. Nel giorno fissato, Aracne e Minerva, quest’ultima ancora sotto le spoglie di una vecchietta, presentarono la loro opera.
Il giudizio fu immediato e sicuro: l’arazzo di Aracne era di gran lunga più bello di quello di Minerva per l’armonia dei colori, per la limpidezza delle forme, per la delicatezza del trapunto. La vecchia scomparve, ma Aracne se la ritrovò in seguito nella sua dimora. La dea, fremente d’ira, spezzò il telaio, afferrò con rabbia la spola e con essa colpì ripetutamente il volto della giovinetta che, per sottrarsi al suo sdegno, si ritrasse nell’angolo più buio della casa. A questo punto avvenne una cosa strana: Aracne si sentì leggera, le braccia e le gambe erano divenute prensili (prensili: capaci di afferrare, di tenersi avvinte a qualsiasi cosa senza cadere). Si appoggiò al muro e, con gran stupore, si accorse che poteva arrampicarsi. Allora cominciò a salire. Minerva l’aveva trasformata in ragno. E come ragno visse per sempre, e per sempre continuò l’arte di tessere tele di ineguagliabile leggerezza e levità (levità: qui sta per delicatezza).